2023 L’era dei dipendenti influencer
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L’era dei dipendenti influencer: il tesoro nascosto dei brands.
Una ricerca Iulm rivela che per gli stakeholder i comportamenti dei collaboratori di un’azienda sono considerati autentici, così molte imprese valorizzano il personale come testimonial.
«Oggi la comunicazione interna è come un cubo di Rubik. Ha una pluralità di sfaccettature. Con i social tutto è diventato più difficile perché anche i dipendenti diventano loro stessi protagonisti» Adrienne Hoyt, a capo della comunicazione interna in Cnn.
Mai come in questa fase storica lo storytelling interno si lega alla moltiplicazione dei canali digitali in un contesto ibrido che abbatte i confini delle organizzazioni. Siamo di fatto in una nuova era segnata dal potere nascosto dei dipendenti, che diventano veri e propri influencer.
Influencer al lavoro
«I clienti non vengono prima. I dipendenti vengono prima di tutto. Se ti prendi cura dei tuoi dipendenti, loro si prenderanno cura dei clienti». Così ha detto Richard Branson, a capo di Virgin. Non è una novità.
A scommettere su questa narrazione già nel lontano 1972 è stato l’economista Philip Kotler, che sosteneva come il marketing fosse diventato rilevante per tutte le aziende nelle loro relazioni con il pubblico interno, non solo con i clienti.
Ma oggi, tra social e stream video, in che modo inserire nel flusso di comunicazione quei collaboratori diventati influencer?
A riflettere sul tema è l’Università Iulm di Milano con una ricercan incentrata sul ruolo degli internal influencer e sulle strategie di employee ambassadorship. La tesi è che gli stakeholder ritengono che i comportamenti di comunicazione dei collaboratori di un’azienda siano più autentici delle comunicazioni ufficiali di quella stessa realtà.
Forte crisi di credibilità
Le fonti di comunicazione ufficiali soffrono di una forte crisi di credibilità. La voce ufficiale delle aziende mantiene una grandissima importanza, ma è cruciale che l’intero sistema faccia sentire la propria voce, soprattutto valorizzando il canale delle reti di comunicazione interpersonali. Gli ambasciatori interni valorizzano tutte le potenzialità della comunicazione personale: la capillarità, la credibilità della testimonianza in prima persona, la creazione di engagement in coloro che sono coinvolti direttamente.
Gli effetti collaterali
Ma attenzione. Ogni rosa (anche sui social) ha le sue spine. Così gli influencer interni possono persino sabotare le organizzazioni, minandole in modo formale. «Possono incrementare la complessità e, qualora decidano di andare via, provocare un effetto valanga di difficile gestione», afferma Alex Bourgeois, uno dei primi blogger orientati all’internal marketing. C’è poi un altro fenomeno rilevante ed è legato agli influencer esterni che entrano nelle aziende. È importante la modalità adottata per individuare gli ambassador: possono essere dei volontari oppure essere individuati e invitati dall’azienda.
Una esperienza diffusa
Certamente è importante creare una rotazione in modo che questa esperienza possa essere patrimonio del maggior numero possibile di persone. Poi c’è un tema di inclusione: costruire un programma di ambassadorship è un’opportunità per dare spazio a famiglie professionali che non hanno occasione di visibilità e in generale un modo per contribuire a costruire un clima di voce e di libera espressione. Ogni tentativo di ridurre tutto ad un modo di veicolare messaggi preconfezionati e pilotati annullerebbe l’efficacia, anche perché dal metterci la faccia al perderci la faccia il passo è breve, e sui social in fondo lo è ancora di più.
(articolo di Giampaolo Colletti e Fabio Grattagliano – Fonte il Sole 24ore)
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(Immagine di copertina Il rivettatore/Wgsn)
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